RENS (Recursive Epistemological Narrative System) ci invita a guardare oltre l’illusione dell’individuo separato. Questo approccio epistemologico rivela come la nostra identità emerga sempre in relazione agli altri. L’articolo che segue esplora questa prospettiva non attraverso concetti astratti, ma attraverso esperienze quotidiane che tutti possiamo riconoscere.
Voci Intrecciate
Ci siamo mai chiesti da dove arriva il dialogo interiore che fondamentalmente siamo noi? Abbiamo mai sentito un’idea risuonare così profondamente dentro di noi da sembrare che qualcuno abbia dato voce ai nostri pensieri? O forse abbiamo incontrato uno sconosciuto e provato l’inspiegabile sensazione di una connessione immediata, come se ci fossimo già conosciuti in qualche altra vita?
Viviamo in un’epoca che celebra l’individualità. “Sii te stesso”, “Distinguiti dalla massa”, “Perché tu vali”. Queste esortazioni risuonano ovunque, dalla pubblicità, ai post sui social, alla psicologia popolare, dall’educazione alle conversazioni quotidiane.
E c’è bellezza in questo, indubbiamente. La singolarità di ogni essere umano è un miracolo che merita di essere onorato. Ma questa celebrazione dell’individualità ha creato un’illusione: l’illusione che esistiamo come entità separate, quasi a pensarci come indipendenti dal tessuto di relazioni che ci circonda.
Radici
Pensiamo alle parole che usiamo quando parliamo. Non le abbiamo inventate noi. Quelle parole fanno parte del linguaggio che abbiamo sperimentato sin da bambini, ci sono state date da genitori, amici, insegnanti, libri, TV, film, social – le abbiamo assorbite dal campo linguistico in cui siamo immersi fin dalla nascita.
E il nostro dialogo interno? Quel dialogo che ci fa capire che esistiamo come individui all’interno di una società. Anche quel ragionamento è plasmato dalle conversazioni a cui abbiamo partecipato, dalle storie che abbiamo ascoltato, dalle interazioni che hanno formato la nostra comprensione del mondo. Abbiamo mai pensato al fatto che quel ragionamento parla la stessa lingua del contesto in cui viviamo? Non la troviamo quantomeno una strana coincidenza che quel ragionamento che ci fa capire che esistiamo, parli la stessa lingua del contesto in cui ci troviamo? Chi di noi ha mai conosciuto una persona giapponese che “ragiona” tra sé e sé in italiano?
Persino i nostri gusti e preferenze portano l’impronta delle relazioni che hanno tessuto la trama della nostra vita. La musica che amiamo, i cibi che ci piacciono, i valori che ci guidano… tutti questi elementi sono fili che ci collegano ad altri, a volte fili visibili, spesso invisibili.
No, gli altri non pilotano la nostra mente, sia chiaro. È che gli altri partecipano attivamente alla creazione continua di ciò che chiamiamo “noi” molto di più di quanto comunemente pensiamo.
Il fiume
L’identità non è un’essenza fissa e immutabile che portiamo dentro. Non siamo quello che eravamo un mese fa, ed è ancora più chiaro se pensiamo a noi di 10-20 anni fa. Eravamo praticamente altre persone. Siamo un processo dinamico che emerge attraverso relazioni. Come un vortice in un fiume che mantiene la sua forma pur essendo composto da acqua in costante movimento, la nostra individualità esiste nell’insieme di relazioni che la circondano, ed è in continua evoluzione.
Ci è mai capitato di riflettere sul fatto che in certi gruppi, diventiamo una versione di noi che altrove non esiste?
Oppure quando un vecchio amico o il nostro partner completa i nostri pensieri prima che possiamo esprimerli, non è solo perché ci conosce bene. È perché, in un certo senso, una parte di noi esiste in loro, e una parte di loro esiste in noi.
Queste sono le manifestazioni di una verità fondamentale dell’esistenza umana: siamo costitutivamente interconnessi. Più sono importanti quelle relazioni, più sono parte di noi.
Interconnessioni
Ci sono momenti nella vita in cui questa interconnessione si rivela con particolare intensità, come squarci nel velo dell’apparente separazione:
Ci è mai capitato di condividere un dolore profondo con altri e sentire quella strana intimità che nasce spontaneamente? Quel riconoscimento silenzioso che trascende le parole, come se la sofferenza condivisa dissolvesse temporaneamente i confini rivelando una verità più profonda sulla nostra comune umanità.
Oppure quando qualcuno in difficoltà ci suscita quel gesto istintivo di dover fare qualcosa, e lo facciamo, senza calcolo o ragionamento. Non è solo altruismo. È il riconoscimento che in qualche modo, la sua sofferenza è anche la nostra.
In questi momenti, la barriera tra “io” e “l’altro” diventa momentaneamente trasparente. Come veli sottili sollevati da un vento improvviso, rivelano una continuità che è sempre stata presente.
Riconoscimento
L’invito è quello di riflettere su questi aspetti che oggi sono ai margini della società. E man mano che approfondiamo questa consapevolezza, qualcosa inizierà a cambiare. Non è un cambiamento concettuale, ma esperienziale.
Inizieremo a notare le risonanze sottili tra noi e gli altri. Il modo in cui i nostri stati d’animo si sincronizzano in presenza di persone amate. Il modo in cui le idee sembrano emergere non da singole menti isolate, ma dallo spazio condiviso tra menti.
Cominceremo a riconoscere come le nostre azioni creano onde che si propagano ben oltre i confini di ciò che consideriamo “noi stessi”. Una parola gentile a uno sconosciuto può alterare il corso della sua giornata, influenzando a sua volta ogni persona con cui interagirà. Viceversa, un atto di crudeltà può generare spirali di dolore che si estendono ben oltre la vittima immediata.
Non stiamo semplicemente influenzando gli altri dall’esterno. Ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio è una pennellata su questa trama invisibile che ci tiene uniti.
Solitudine Digitale
Paradossalmente, proprio nell’era della connessione digitale, questa verità sembra più lontana che mai. Fissiamo schermi che ci promettono connessione mentre ci isolano nelle nostre case, costruendo e facendo interagire marionette di noi stessi.
Ogni volta che scegliamo un filtro per apparire “perfetti” stiamo seppellendo la nostra autenticità. Eppure, persino in quel gesto, alla fine c’è il bisogno di appartenere alla trama invisibile. Un like, gesto apparentemente semplice, svela un’eco della nostra sete di connessione… un grido del fiume che prova a ricordarci di essere acqua.
Responsabilità
Questa comprensione non annulla la nostra unicità. Al contrario, la arricchisce. Riconoscere la nostra profonda interconnessione non significa perdere la nostra individualità, ma riscoprirla in una forma più complessa e veritiera, dove avremo consapevolezza che le nostre azioni influenzeranno inevitabilmente chi ci circonda.
Non siamo entità isolate che cercano connessione. Siamo espressioni uniche di una connessione che esiste a un livello fondamentale.
Questa prospettiva può trasformare il modo in cui viviamo le nostre relazioni:
La compassione non è più un sentimento che proviamo verso un “altro” separato, ma il riconoscimento diretto della nostra essenziale non-separazione. Fare qualcosa per gli altri è fare qualcosa per noi stessi. Aiutare qualcuno non è un atto di generosità, ma di riconoscimento.
La responsabilità verso gli altri non è un obbligo etico esterno, ma la naturale conseguenza che il nostro benessere è inseparabile da quello degli altri.
Questa non è un’astrazione filosofica. È la realtà più umana che esista. È ciò che siamo, al di là delle etichette, delle categorie, delle separazioni artificiali che la mente crea. Senza gli altri non potremmo pensare, ragionare, riflettere su noi stessi… in altre parole senza gli altri non esisteremmo!
E in questa comprensione c’è una libertà che toglie il respiro: non siamo mai stati soli. E non lo saremo mai, perché quegli altri sono dentro di noi. Persino la persona più isolata sulla terra, che ha interrotto ogni contatto umano, non è mai veramente sola: l’intera umanità è inscritta nella sua stessa esistenza.
E una volta che giungiamo a questa consapevolezza, una volta che la sentiamo vibrare nell’intimo del nostro essere, nulla può essere come prima. Ogni incontro diventa un ritorno a casa. Ogni sguardo, un riflesso. Ogni gesto di connessione, una celebrazione dell’unità fondamentale che è sempre stata lì, in attesa di essere riconosciuta.
Pensiamo a tutte le voci che hanno formato la nostra, a tutti i volti che si riflettono nel nostro, a tutte le storie che si intrecciano nella nostra. Non siamo mai stati elementi isolati del mondo. Ne siamo sempre stati parte costituente: siamo il mondo.
In questa trama invisibile che ci costituisce tutti, si nasconde la verità più semplice e più potente dell’esistenza: gli altri siamo noi.
